La cuoca vegana

“Come ti chiami?”. “Joyce! Ma non sono irlandese. Peruviana”. “Ma dai: che nome strano”. “Sì, lascia stare: mia madre avrebbe potuto chiamarmi Maria, Benedetta… ma le piacevano i nomi strani…”. “Sì, ma è comunque carino”.
Mentre la guardavo capivo che non mi ero sbagliato a pensarla “esotica”, dietro alle lenti da vista e al vestire uguale a tante altre. Giovane, non alta ma proporzionata. Capelli castani e una pelle, non so: diversa dalla mia. “Sì, davvero, Perù!? Ma ci sei mai stata?”. “No, ho là i parenti. Io vivo in Veneto. Sono nata lì”. “E cosa fai?”. “Faccio la cuoca vegana”. Silenzio.
“Vuoi dire che sei una cuoca che fa cucina vegana?”. “No, io so solo cucinare vegano”. “Niente carne, dunque, né uova, né latticini…”. “Esatto”. “E se passasse di moda?”. “Non credo: è il futuro. Non possiamo più permetterci un alimentazione carnea”. “Può darsi, ma non hai paura di rimanere disoccupata se la cucina vegana passasse di moda come la macrobiotica?”. “No, la cucina vegana non è solo cucina…”. “E cosa è?”.
Sarà una fede, credo. In ogni caso mi sembra un’inutile limitazione essere “solo”, mettere l’aggettivo sopra il sostantivo. Uno dovrebbe essere cuoco e poi qualcosa. Quando rivedrò Joyce cercherò di spiegarglielo…

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