La Cervellata di Vogogna

A margine del Convegno sulla cultura Walser, chiedo lumi a Paola Caretti sulla cervellata, da lei ricordata fra i cibi scomparsi; cibi che nel suo ricettario, rivisto, di fine settecento, dell’avvocato Albertazzi di Vogogna, c’erano ed oggi non sono più. Lasciamo stare l’agresto, di cui so già, m’incuriosisce la cervellata, sorta di salame a base di midollo, zafferano, formaggio duro e sapori vari che serviva come base del risotto alla zafferano, chiamato oggi anche “alla milanese”. Il fatto che Albertazzi lo chiami “allo zafferano” e non “alla milanese” potrebbe dimostrare che quest’ultima denominazione non era comune (e forse non da tutti accettata) a fine Settecento e che la gastronomia era già una koinè diàlektos ben più ampia di qualsiasi area urbana. Alla faccia delle ricette “tipiche”, della “tradizione” e cosucce varie. La cucina è viaggio ed è contaminazione.
Due righe sulla cervellata da un articolo di Allan Bay, “Corriere della Sera”: “La cervellata era una salsiccia speziata con lo zafferano, utilizzata come condimento base per molte preparazioni, compreso il risotto, fino a pochi decenni fa. Era fresca, non stagionata, talmente diffusa a Milano che i salumieri venivano chiamati cervellee. Nel Medioevo era fatta anche con la cervella degli animali, ma gia’ nel 1400 era a base di buona carne e formaggio… la ricetta cervellata del più grande cuoco italiano del Rinascimento, Maestro Martino,… suggeriva di prendere carne magra di maiale o vitello, batterla minutamente (tritarla), aggiungere cascio (formaggio) stagionato e grasso, buone spezie…, sale, 2 o 3 uova, zafferano secondo i gusti. Concludeva dicendo di impastare il tutto e metterlo in un budello di maiale, “et falle longhe o curte come ti piace”. Nel secolo scorso la produzione era lentamente diminuita sino a sparire”.

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