Giada, oh Giada

Giada produce vino in quel di Bogogno. Buoni vini di taglio internazionale, come si dice: cioè barrique, alcool, colori, profumi e struttura potenti… Giada non è di famiglia contadina, ma dopo una breve carriera come avvocato penalista, si è lasciata alle spalle Milano, ha comprato una cascina del Seicento, l’ha rifatta ed ha incominciato a fare vino… Quasi come un colono medievale, ha chiamato l’azienda Ca’ Nova: una verità ed un inno alla nuova esistenza, nello stesso tempo. L’ha potuto fare, ha potuto cambiare, perché di famiglia benestante. E questo ha provocato all’inizio un po’ d’invidie nel piccolo circolo dei viticultori novaresi. Ma poi è stata accettata e ben accolta. Lavora bene.

All’ultimo Vinitaly ha presentato i suoi vini, fra cui il suo primo ghemme docg. L’azienda oggi infatti conta anche su due ettari a Romagnano Sesia, area docg, oltre agli altri otto a Bogogno, ricadenti nella doc Colline Novaresi. Per primo ha fatto assaggiare il Rugiada 2006, un vino bianco a base erbaluce con aggiunta, forse, di chardonnay. Un vino dai profumi lievi, dolci, evanescenti; di mela gialla, soprattutto. In bocca morbido, con acidità assai misurata, e con leggera nota amarognola, ricorda le mandorle, alla fine. Discreto, per me un po’ troppo anonimo. Però facile da bersi. Secondo vino, un Aurora 2006, rosato di nebbiolo, 20-24 ore di macerazione, con profumo lieve di ciliegia, fragola. Leggermente carbonico, in bocca è asciutto e lievemente tannico. Un buon rosato che fa inorridire i tradizionalisti: perché sprecare dell’uva nebbiolo? Dicono. Io cambio idea in base alla stagione: d’inverno sono d’accordo con loro, d’estate no.

Passiamo ai rossi. Un Bocciolo 2005 dai profumi speziati, alcool in evidenza, frutta rossa in fondo, lontana, un po’ di affumicato da barrique. In bocca ha un che di sapido, è asciutto, ma equilibrato. Leggermente tannico. Buono. Da uve nebbiolo. Poi abbiamo assaggiato la corazzata di casa: il Melchior 2003, nebbiolo con 5% di merlot. Un vino che sa di legno, affumicato, di frutta rossa, di spezie, di vegetale e “di erbe officinali” diceva il sommelier che guidava la degustazione. Mi ha colto impreparato. Andrò ad annusare. In bocca è un vino corposo, leggermente tannico, equilibrato. Buono. Leggo sulle note di degustazione “dolce/amaro/asciutto/grasso”. Non ero ubriaco, volevo solo dire che non si riesce a capire quale di questi elementi si stacchi dagli altri. Ottimo.

Altro pezzo “da novanta” è il San Quirico 2003, cru aziendale, dal nome di una cappella diroccata che sorge in cima ad una collina. Si tratta di un vino a base nebbiolo con un 5% di merlot (come il Melchior: deve essere una passione dell’enologo!?). Un vino, curiosamente, dai profumi più giovani: frutta rossa macerata, sotto spirito, un po’ di speziatura; caldo, con leggera nota di barrique. Non molto potente, ma ricco di buquet (non come il precedente, comunque). In bocca è dolce di alcool, poi un po’ tannico ed infine un po’ acido. Equilibrato, nel complesso. Buono.

Per ultimo è arrivato il ghemme docg 2003, alla sua prima uscita pubblica. Un vino dalle leggere note vanigliate al naso, poi ciliegia rossa, violetta, fiori secchi, caffé. In bocca è subito piacevole, caldo di alcool, asciutto e leggermente tannico. Una tannicità data dal fatto che nel 2003 il grande caldo non ha permesso la totale evoluzione dei vinaccioli che sono arrivati in pressa ancora verdi e non secchi. Comunque equilibrato. Lieve nota di amaro sul fondo. Classico sia pure con barrique. Ottima sorpresa. Ho fatto i complimenti a Giada: un ottimo ghemme docg.

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