Gatti e Spiriti

I miei gatti fanno a botte con la razionalità. La mia. Il primo è Cesare, che ho preso da un amico mesi fa. Un gatto strano, quasi siamese e senza coda. O meglio: con un ricciolo di coda. Sembra fatto apposta (“perché gli hai tagliato la coda”, chiese mio fratello appena lo vide. E quando mai!). L’ho chiamato Cesare perché il gatto del quartiere si chiama Cenere. Un persiano che ha subito un grave incidente ed è privo di una zampa, ha un orecchio smozzicato. Saltella. E’ grosso e riesce comunque a catturare gli uccellini, che mangia, lasciando in giro le piume. I due sono amici-avversari: una strana coppia di “pirati”, pieni di cicatrici, che si azzuffano, cercano cibo insieme, ingrassano davanti a tante ciotole generose.

Cenere dorme nella mia cantina, sulla sedia a rotelle che fu di mio padre. Anche l’uomo era claudicante, quasi zoppo, con gravi problemi di deambulazione negli ultimi anni. Cenere dorme lì, come se fosse una reincarnazione. Gli ho messo un cuscino morbido, per rispetto e lui, ogni tanto, si fa accarezzare. Scontroso e anaffettivo come papà.

Cesare, invece, preferisce passare i pomeriggi sul divano che fu l’ultimo metro quadro di mia madre: là dove vedeva la sua Tv, recitava il rosario, dove ha passato gli ultimi giorni di malattia. Una strana attrazione. Coincidenze? Certo. Anche perché a mamma i gatti non piacevano. Uno spiritello dispettoso? Non so, ma ogni tanto gli parlo. Non so, impazzirò?

Intanto mi scopro “gattaro” e chiedo scusa a tutte le persone amanti dei gatti che ho conosciuto negli anni: mi sembravano un po’ “toccate”, sciocche. Invece ora mi sembrano più profonde degli altri.

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