L’olio d’oliva extravergine di oliva (evo) è una somma di misteri, nonostante le apparenze semplici. Sembra infatti chiaro e limpido nella testa di ogni italiano, ma in realtà è torbido e per nulla limpido. Non ci credete? Rispondete allora a queste due semplici domande:
1) Quando un olio evo si può definire buono?
2) Quanto può costare un olio evo buono?
Non avete dubbi? Bene, non leggete oltre: o siete preparatissimi sull’argomento (appartenete ad una minoranza); oppure avete la pretesa di esserlo. Se avete dubbi, invece, continuate.
Un olio evo buono, per analogia con il vino, lo è quando è sano (imprescindibile) e ha un buon profumo, un buon sapore e un bell’aspetto. Ognuno scelga il suo: delicato, piccante, fruttato… Invece, se puzza ed è cattivo, oppure non sa di nulla: né al naso né al palato, è un olio evo fatto male, cattivo. Se si presenta male, ma è buono, è un buon prodotto comunque: peccato, però, perché molti non lo capiranno. Basta questo per definire un olio buono? In gran parte sì: purtroppo quasi tutti gli oli evo che si trovano sulle scansie profumano poco e sono poco gustosi. Ma essere buono non basta. Esiste –come per il vino- il “terroir” del prodotto: quella somma bellissima fatta di storia, tradizione, modernità, lavoro, professionalità, territorio, clima, profumi e sapori… Esiste cioè quella somma di valori che distinguono un “prodotto” da un “non prodotto”. Quel valore aggiunto vero, di qualità, per cui qualcuno ancora è disposto a pagare. Pagare un po’ di più di quei due o tre euro a bottiglia che a volte ti capita di vedere nei market. Anche perché, la differenza fra il valore reale del prodotto (almeno tre volte tanto) e quello proposto la pagano subito altri e, poi, lo stesso consumatore: produrre in luoghi con poche tutele sanitarie fa ammalare la terra, tutta la terra; produrre con scarso rispetto del lavoro, fa impoverire tutti: i lavoratori là, prima, e quelli qui, poi. Questi stessi che magari si arrabbiano se quelli cercano di fuggire in barca dalle loro miserie. Paghiamoli meglio, là; svilire il prodotto per renderlo un oggetto senza storia (come se non esistessero gli oli evo, ma un solo olio), vendibile a prezzi bassi, crea necessariamente dei danni: induce a lavorare male a comportarsi male. Altro che i cinesi! Leggete un po’ qui…
In tutto ciò, gran parte delle colpe le hanno le filiere distributive che fanno i prezzi in uscita ed in entrata, con logiche di puro risparmio, margine, quote…; e lavorano con enormi quantitativi… una realtà poco agganciabile al “terroir” e alla tutela del grande artigianato agroalimentare italiano. Per l’olio evo ci vorrebbe un’attenzione simile a quella che ha ottenuto negli anni il vino.
Sempre che, anche per l’olio, non si cerchi poi di smantellare tutto il magnifico lavoro fatto in nome della pubblica salute: qui l’alcol, là i grassi. Che ci sia una regia occulta dietro a ciò?
Comunque, come per il vino, anche per l’olio il prezzo basso non sembra proprio essere una garanzia…