Un po’ di emozione, lo confesso, mi ha
colto nel tornare nelle aule dove ho insegnato. Tanti anni fa. Sto
parlando dell’Istituto Alberghiero Rosmini di Domodossola, erede
dell’Istituto La Baita dei Congressi di Macugnaga. Ci insegnai, a
Domodossola, ai tempi di don Silvi e ne conservo un buon ricordo. Gli
ex allievi di allora sono diventati uomini e donne, professionisti
fatti ed anche i docenti di oggi: belle persone. Ne ho incontrate
alcune al volo lunedì scorso; le ho salutate e ci siamo regalati
foto e selfie. Poi loro hanno avuto una bella cena molto partecipata
con ex, amici, docenti e studenti. Io non potevo fermarmi. Peccato.
La Scuola è ancora oggi attiva e bella.
Guardate la foto, ne riconoscete
qualcuno? Sì, ne sono certo. Sono degli ottimi professionisti di
cucina (ma la scuola è anche ottima sala). Sono ex allievi e persone
stimate, ancor giovani di spirito. Il magico cocktail di vita, forse,
un pochissimo lo debbono anche a me. Ad maiora!
Tutto il Piemonte
delle Pro Loco si è ritrovato sabato scorso a Landiona (Novara) per discutere e confrontarsi su temi di stretta
attualità come “la riforma del terzo settore”, “le normative sulla sicurezza”,
“l’impatto ambientale delle sagre”… nonché a votare il bilancio preventivo
dell’Unpli Piemonte. All’appello i consigli provinciali delle Pro Loco
piemontesi aderenti all’Unpli (unione delle pro loco d’Italia), il Consiglio
Unpli del Piemonte e la Giunta Regionale… Insomma, una quarantina di persone
provenienti da ogni realtà piemontese; uomini e donne, giovani e meno giovani;
espressione di comunità di montagna o pianura, collina o lacustre, di cittadine
medie, di grandi borghi…ad ascoltare e dire la propria, sotto la guida del
presidente regionale Giuliano Degiovanni.
La Pro Loco di
Landiona e l’Unpli Novara hanno accolto i delegati delle oltre mille Pro
Loco piemontesi (su poco più di 6mila in Italia) con un progetto di riduzione
d’impatto ambientale studiato con la Novamont di Novara: ovvero l’utilizzo
delle stoviglie usa e getta in Pla, un polimero ricavato dal mais e dunque del
tutto compostabile. Le sagre piemontesi movimentano circa un milione di pasti,
per cui una sempre maggiore diffusione di eco plastica sarebbe auspicabile e
forse necessaria. In alternativa, il riutilizzo delle stoviglie, possibile solo
a certe condizioni (strutture, centri lavaggio, stoccaggio etc etc). Le Pro
Loco che si orienteranno nella direzione dell’eco plastica dovranno però
sensibilizzare i propri comuni per una corretta raccolta e gestione delle
stoviglie in Pla, da non mescolarsi con la plastica.
In attesa del pranzo
Dal mais al riso: ai delegati è stato offerto un pranzo
tradizionale novarese a Il Mulino della
Villa di Landiona, in cui spiccava la paniscia, vero e proprio piatto
totemico della bassa novarese. Pur essendo in sé un piatto unico, hanno
comunque potuto assaggiare anche una selezione di salumi locali, freddi e
caldi, dolci e formaggi; nonché i vini delle Colline Novaresi, una realtà
interessante della notevole produzione piemontese.
Mio malgrado
sono diventato forse il maggior esperto vivente di Annibale Bocchiola, scrittore minore del XX secolo ed autore di
racconti di caccia. Tre anni fa ad un pranzo del gruppo walser di Campello
Monti ne ho sentito parlare per la prima volta. In quell’occasione si lesse una
ridondante, aulicamente scritta e quasi comica ricetta di camoscio, “l’antilope
alpina” secondo la definizione del Bocchiola stesso (questo è vero). Il testo
mi incuriosì e cercai materiale su di lui, ne comprai i libri (a buon prezzo)
sulla rete, ne scrissi e mi feci l’idea che quella ricetta non era stata
scritta da lui. Lui usava un italiano ricercato, a volte esagerato, fin troppo
ricco e sfumato. Ma mai quasi ridicolo come il “falso Bocchiola” della ricetta.
Storia
chiusa? Neppure un po’: domenica scorsa sono andato a mangiare il camoscio dall’Elvira a Forno di Val Strona (lo
consiglio) ed è rispuntata la finta ricetta del “falso Bocchiola”. Ho fatto
delle foto e potete leggerla qui sotto.
La ricetta del “finto Bocchiola”
Roba
ridicola: un italiano ridondante e un tono palesemente canzonatorio. Bocchiola
scriveva invece così. Leggete per intenderci questo brano tratto da “Mal di
Caccia”: “Nell’infinita preghiera
dell’alta sera alpina han salmodiato, squillanti, anche le coturnici, radunate
in coro sugli aerei pulpiti di roccia. Poi la notte è dilagata silente dei
margini del sogno entro in cui l’alba serena l’aveva racchiusa, riaccendendo in
cielo l’ininterrotta armonia delle stelle. Son rimasti sulla montagna, sperduti
nell’anelito sfuggente delle cose eterne, un timido fuoco di bivacco ed i
nostri piccoli cuori. Coi nostri palpiti fatti di ricordi, di tenerezze, di
lacrime. Doro! S’è affacciato, timido, all’uscio della baita, m’ha guardato con
occhi imploranti, poi è venuto a piccoli passi felpati dentro l’alone della
fiamma, m’ha adagiato sulle ginocchia la bella testa nervosa, fissandomi
adorante”.
La differenza è palese. L’idea che mi sono fatto è che qualcuno abbia voluto parodiare Bocchiola, magari col suo consenso. Immagino una cena fra amici, una cena fra cacciatori e un foglio arrivato chissà come nelle mani del gruppo walser di Campello Monti ed ogni tre anni, ad una cena di camoscio: “l’antilope alpina” cantata anche dal Bocchiola, il foglio riappare.
Ecco un altro amico da commemorare: Luciano Imbriani, giornalista ed esperto di enogastronomia. Da anni
so che non c’è più, ma il ritrovare nella mia biblioteca dei libri scritti da
lui mi ha fatto montare la nostalgia e due parole su di lui le dico volentieri.
Lo conobbi ai tempi di “Albergo Italia”, grazie a “Leo”
Avellis. Ne conobbi prima la scrittura e poi la persona. Era persona elegante e
garbata, molto colto. In tutti suoi libri la sua “coltaggine” è palese:
citazioni e riferimenti dalla storia antica a quella moderna… parole e pensieri
che se anche non fossero falsi, sarebbero belli lo stesso. Ma falsi certo non
erano. Non era il tipo e non era epoca di fake news e citazioni inventate la sua.
Anche se non conosco e non conobbi nulla di lui, direi educazione classica e
studi universitari. Ma potrei sbagliarmi. In ogni suo libro c’è però questa
abbondanza di cultura e di erudizione. Che si parli di Insalate o di
abbinamento cibo vino, di vino, di cibi, prodotti, tradizioni (ha scritto molto
davvero)… insomma, la citazione e il riferimento dotto ci sono ovunque.
Un paio di volte l’ho fatto venire sulle colline novaresi e
lui ha scritto dei nostri vini. Un bel ricordo.
A sinistra Fausto Coppi e a destra un giovane Luciano Imbriani: foto “Civiltà del Bere”
Lo sapevo, lo immaginavo da mo’ che era morto, non vedendolo più in giro, non sentendolo più… ma leggerlo sulla rete mi ha colpito comunque (https://www.informacibo.it/ciao-alfredo-zavanone/). Vorrei allora ricordare qui con due parole Alfredo Zavanone, giornalista vercellese che conobbi tanti anni fa su un pullman diretto nelle Marche. Collaboravo con “Albergo Italia” e venni invitato ad un educational e feci comunella con un giornalista giovane di “Civiltà del Bere” (poi diventato avvocato) ed ad un certo punto vedemmo questo signore anziano venire verso di noi, là in fondo, a cercare di capire chi fossimo. Il suo obiettivo, capimmo poi, era quello di cercare collaborazioni, sgranando collaborazioni vere (o presunte, alcune mi sembrarono tali). Mi sembrò un poco mitomane, ma era il suo modo di fare. Esplicava, esprimeva, creava reti di relazioni…
Lo vidi più volte, sempre uguale a se stesso e nel 2002 collaborai con lui per un libro, “Sua Maestà il Riso”, fornendogli una ricetta della scuola e due righe sulla scuola stessa e il riso. Poi credo di averlo visto qua e là altre volte. Infine l’oblio.
Che sorpresa! Mentre
sto facendo delle schede su alcuni vini per gli studenti di IV, sfoglio alcune
pagine del sito internet dedicato al Timorasso
doc. Trovo una citazione, parole di Luigi Veronelli, un maestro del giornalismo enogastronomico. Un
poeta più che un prosatore direi, però. Leggete questa definizione: “a Garbagna, durante un mio viaggio bevvi
vino bianco buonissimo, pieno, armonico, viperino…”. Ohibò, “viperino”: e
che mai vorrà dire!?
Cerco sulla Treccani
un po’ di (inutili) risposte: “viperino agg. [dal lat. viperinus]. – Di vipera,
delle vipere: morso v.; veleno viperino. In senso fig., da vipera, proprio di
persona rabbiosa e maligna: lingua v.; pettegolezzi v.; e con funzione soltanto
rafforzativa: perfidia v.; malignità viperina”.
Nulla, dunque. Nel suo immaginifico linguaggio, il Maestro
ha così definito un vino che sarà stato, al suo palato immagino, fresco, un po’
sgraziato (però lo dice “armonico”), amarognolo sul finale come un veleno… “viperino”
appunto. Una sinestesia, non un concetto logico… Decisamente curioso e non
parafrasabile.
Mi sarò fermato un paio di volte al Gigi Bar di Stresa in questi ultimi anni. Non ero proprio un cliente affezionato. Una volta al tavolino ho preso un caffè, e non ho neppure pagato troppo di più; un’altra volta al banco, un vino come aperitivo con canapè salati: buono il vino, seppur non famoso, ma ottimi i canapè fatti in casa. Il locale mi ha dato l’idea di un’eleganza fuori moda con i camerieri in giacchetta e le sedie imbottite, poltroncine e tavoli tondi. Mi son sempre chiesto che clientela avesse, ma Stresa è una città sovraffollata i turisti sia d’estate sia nei ponti festivi. E dunque c’è lavoro per tutti. Anche per un locale un po’ retrò, elegante e un poco più costoso degli altri bar stresiani.
Ora chiude e al suo posto verrà,
dicono, un ristorante cinese. Se così fosse, non sarebbe male.
Movimenterebbe una cittadina con persone normali, cioè non turisti
né escursionisti. Sarebbe una città più viva, meno resort.
Ad inizio anno, da due anni, una
Guida delle migliori pizzerie d’Italia mi chiede la mia classifica
delle venti pizzerie migliori. Lo chiede a me e lo chiede a tante
altre persone che non conosco. Perché a me? Mi occupo di cibo, vino
e gastronomia da anni e qualcuno ha fatto il mio nome. Ho accettato,
anche se non ci guadagno nulla.
Come l’anno scorso, ho inviato una
centinaio di messaggi ad amici e conoscenti per chiedere loro la o le
due pizzerie che hanno preferito nel 2018. Lo faccio per confrontare
le mie impressioni con la democrazia orizzontale della modernità. Un
lavoro di alcune ore con molte interessanti spurie: c’è chi non mi
risponde, chi si limita a dire “no”, chi mi risponde all’idiota
(“non faccio vita mondana”: andare in pizzeria è “vita
mondana”?), chi non capisce (“ti segnalo il ristorante…”, ma
se mi servono pizzerie?), chi mi prende in giro bonariamente (“mio
figlio ha una pizzeria in Messico, se passi di là”… ah ahaha),
chi mi dice di non essere mai andato in pizzeria lo scorso anno
(pochi, ma da non crederci!), chi -uno- mi dice di frequentare quella
surgelata del supermercato… etc etc
E quelli che mi hanno risposto? Nel
pezzo di mondo dove vivo, la punta settentrionale del Piemonte le più
citate sono quelle che conoscevo già. Il Vizio 5 di
Dormelletto e la pizzeria Fior di Latte di Mergozzo; ma molte
altre hanno fatto capolino: Piedigrotta di Varese, per
esempio, segnalatami da diversi da diversi luoghi; poi Il Regno di
Napoli di Verbania; La Divina di Dormelletto; il,Tacabutun
di Verbania, il Vichingo di Domodossola; e il Vecio Veneto di
Casale Corte Cerro… Hanno fatto apparizione anche delle pizzerie al
trancio, fra cui una di Oleggio Castello che è stata segnalata da
più persone.
Inoltre molte segnalazioni da ogni angolo d’Italia: Napoli, in primis (e ci mancherebbe!), Verona (non a caso), Taormina, Olbia, Bormio, Milano, Torino, Atripalda, Cigliano, Novi Ligure, Biella, Saluzzo, Molfetta…
Gusto Divino Saluzzo
E adesso? Adesso farò le mie
considerazioni e spedirò il tutto. Come un messaggio nella
bottiglia. Chissà chi lo leggerà?
Se andate in Valle Anzasca e non
volete/potete fermarvi a Macugnaga per cena o pranzo, vi
consiglio il ristorante Concordia di Vanzone con S. Carlo. Un
locale informale, gestito da giovani. Buona la pizza e buona e buona
ed abbondante la cucina.
Ed è proprio questo l’aspetto da
segnalare, per informare. Le porzioni sono molto abbondanti e per
evitare di avanzare cibo (anatema!) meglio saperlo. La pizza ha
dimensioni normali, ma i piatti e i contorni sono da appetito
robusto: abbondanti le patatine fritte (per 3,5 euro direi due
porzioni), ricca l’insalata mista e ricco il piatto di Pollo
Orientale; mentre la mia Tagliata era buona ma nella media.
Ristorante Concordia dal suo profilo FB
Eravamo in due e per mantenere fede ai
miei propositi, mi sono dovuto mangiare due terzi della Piazza
Ossolana (coi funghi) presa come entree, metà del Pollo, due terzi
della porzione di patatine e quasi tutta l’Insalata e, ovviamente, la
Tagliata. Il caffè ha dovuto trovare degli interstizi per entrare…
Ah, cosa si è pagato? 3 euro di coperto, 2,5 di acqua, 6 per mezzo
litro di vino, 9 per la Pizza Ossolana, 10 per il Pollo (bastava
quello per una cena light), 16 per la Tagliata, 3,5 per l’Insalata,
3,50 per le Patatine, e 1 per il caffè.
Il cioccolato intelligente ce lo ha
fatto assaggiare Diego Signini di Audere Lacioccolata di
Borgomanero (ma per poco, fra un po’ si trasferiranno a San
Maurizio d’Opaglio). La loro teoria aziendale privilegia il
terroir del cacao rispetto alle note tipologie di cacao: criollo,
forastero etc etc
Un po’ come succede per il vino, per Diego Signini è più importante l’origine del prodotto rispetto alla sua tipologia: più importante, per capirci con un esempio, il barolo docg che un generico nebbiolo piemontese o di altra origine. Più importante perché così è possibile individuare le caratteristiche di ogni singola origine, per poi lavorarla con intelligenza, proponendola con abbinamenti inediti ma meditati.
Diego Signini Audere
Si tratta di una ipotesi affascinante,
ma che secondo noi lascia ampi spazi all’incertezza. Infatti il
terroir, concetto mutuato dal vino, non riguarda solo il terreno sui
cui cresce la pianta ma anche il sistema di allevamento della pianta
stessa, poi l’influenza del clima che cambia sia pur di poco da zona
a zona. Il cacao si concentra in zone ristrette o si coltiva un po’
ovunque nei Paesi di origine?
Per convincerci del loro paradigma
aziendale, ci hanno fatto assaggiare un cioccolato fondente al 70%
(poi burro di cacao e zucchero) da cacao peruviano; poi un 75%,
peruviano; un 81%, dal Venezuela; un 85%. dall’Ecuador; e, infine, un
96%, dal Madagascar… Erano tutti diversi l’uno dall’altro. E ciò
sembrava confermare il punto di vista di Audere. Ma i nostri dubbi
rimangono. Indagheremo.
Maria Cristina mi ha chiesto un parere
sul vino prodotto da una sua amica. Ed ecco qui la bottiglia di
Barbera del Monferrato doc 2016 Robella dell’Azienda Agricola Rosa
– Clot di Cartosio; eccola qui che si apre e si fa gustare:
buoni profumi di frutta ed in bocca morbido, pieno, equilibrato.
Buono. Lo consiglierei? Sì, lo consiglierei.
Maschile o femminile? Non so, a volte
dico il barbera a volte la barbera. Per la sua struttura maschio
direi; per la sua freschezza ed irruenza, femmina.
Nei tre giorni del Christmas Wine Festival ho seguito e parlato con tre giovani chef stellati (vedi cronache sotto). Tutti hanno ricordato i loro maestri, ma nessuno la scuola alberghiera che pure hanno tutti frequentato. I Maestri semmai stavano all’Alma o nelle cucine di tutt’Europa in cui hanno lavorato. E la Scuola Alberghiera? È stata importante? Ad un cuoco un poco più vecchio, Maestro dei tre, ho chiesto che cosa avesse imparato nella scuola da lui frequentata e con quel prof di cucina che io conosco e stimo… Risposta: il valore del sacrificio e dell’impegno… Già qualcosa.
Ma io ho capito cosa intendessero con il loro silenzio i tre giovani chef stellati: dai Maestri abbiamo imparato nuove tecniche, nuovi approcci al cibo, una bella presentazione… la Scuola quello non lo può dare: lì i professori invecchiano e non sempre si aggiornano; nella Scuola le attrezzature sono obsolete e le novità appaiono raramente; nelle scuole ci sono i professori di cucina, fuori i cuochi…
Però, devo dire, qualcosa la scuola ha dato loro: tutti
hanno detto che si informano, leggono, si mettono in rapporto con il territorio
in cui operano; a volte con ingenuità adolescenziale hanno detto che là c’è un
certo Museo famoso (come se noi non lo sapessimo); molti hanno espresso chiare
nozioni di chimica e fisica… Insomma, la scuola, tutte le scuole frequentate
hanno dato loro la capacità di leggere, di ragionare, di apprendere, di
esprimersi con chiarezza sia a voce sia in forma scritta… Non male, direi.
Ma per queste competenze di base serve la Scuola Alberghiera?
Non so…
Un inizio un po’ lento e poi via via sempre più accelerato:
così è stata la seconda giornata del Christmas
Wine Festival, sabato 29 dicembre. All’appuntamento delle 11,30 con la
cioccolata Audere (“ci vuole
coraggio per fare impresa oggi”) di Borgomanero, primo dei Master Class, all’inizio c’erano poche persone, poi, momento dopo
momento, la sala del Palazzo Penotti
Ubertini si è riempita ed è stato interessante ascoltare la passione e
l’impegno di Diego Signini, uno dei
due soci della piccola e giovane azienda produttrice di cioccolata. Una
produzione intelligente che segue il prodotto dalla sua origine al suo
abbinamento. Alla ricerca di un “terroir” del cacao e di un dialogo
intelligente col territorio dell’azienda (vedi per esempio la cipolla di
Fontaneto o le nocciole di Romagnano) e con la semplicità di produzione: senza
additivi, grassi vegetali, zuccheri raffinati. Si sono assaggiati dei
monocultivar del Perù, della Repubblica Domenicana, del Venezuela, dell’Equador
e del Madagascar: dal 70 all’96% di cacao. Molte domande e molto interesse.
Anche da parte di un pubblico giovanissimo.
Diego Signini di Audere
Altrettanto interessante la presentazione del panificio
artigianale Dentella di Cellio (Vc).
Uno spettacolo di pani a lunga lievitazione (20 ore dall’inizio alla fine); di
lievito madre (regalato ai presenti); di pani aromatizzati con cacao, verdure
grigliate, zucca, semi…; pani da grani antichi e macinati a pietra; pani
digeribili; pani che durano… pani veri e non frutto di lievitazioni veloci,
starter, enzimi… senza demonizzare la farina doppio 0, che “è sì ricca di un
nutrienti… ma non è un difetto, semmai un falso problema del pane industriale”.
Il giovane Simone Dentella, prima un
po’ intimidito dal pubblico, poi sempre più convinto di sé, ha parlato,
impastato in pubblico, risposto alle domande, si è accalorato parlando di pane:
“non capisco –ha detto- perché si spende per l’auto e non si sta attenti a cosa
si mangia”. Al suo fianco, a parlare di farine e grani antiche, Simone Puricelli di Cerealia. Alla
fine, un bicchiere di Torre Rosazza
Friulano 2017 per accompagnare la degustazione di pani.
Simone Dentella
Un pubblico giovane ed attento ha seguito poi, nel pomeriggio, lo show cooking di Federico Gallo, stella Michelin della Locanda del Pilone di Alba. Il 31enne torinese ha parlato di sé, della sua cucina, mix familiare di Piemonte e di Toscana, ma anche di Messico, dove ha lavorato a lungo, ed ovviamente langarola. Anche perché le Langhe sono oggi un topos enogastronomico a cui è difficile scappare se si lavora lì. Al numeroso pubblico ha proposto un’Anguilla in Porchetta, omaggio alle acque dolci del Lago e alle sue radici toscane: “in Toscana –ha simpaticamente ricordato- tutti hanno una loro idea di porchetta e tutti ti dicono là è meglio… una lotta fra paese e paese, ma anche fra regione e regione: Lazio, Toscana e Umbria”. Si trattava di un piatto apparentemente semplice ma in realtà complesso, con cottura dell’anguilla, sua sgrassatura, ricomposizione, panatura con polvere di carne di maiale ed aromi scelti, cottura a bassa temperatura ed infine un passaggio a fiamma viva pe riprodurre la crosta della porchetta. Ottimo, nonostante l’ardito accostamento. In abbinamento due franciacorta docg, brut e rosato, della Lantieri de Paratico selezionati da Simona Zanetta.
Federico GalloAnguilla in Porchetta
Mentre il pubblico defluiva lungo le vie e le piazze affollate ed illuminate a festa, il Wine Circus traboccava di appassionati. Fra cui moltissimi giovani. Molti i vini notevoli assaggiati e discussi. In piazza Motta, intanto, suonavano i The Blue Rooster. Giornata dunque partita lenta ma finita assai vivacemente!