Al barolo serve un editor

Se scrivi un libro hai bisogno di editing; di qualcuno, di alcuni che leggano il tuo testo e facciano la correzione delle bozze, rilevino gli errori di stile e financo qualche errore di ortografia che, con tutta la più buona volontà, sfugge sempre. E così hai fra le mani un bel libro, interessante e scritto col cuore, e su un argomento che ti interessa; con dedica personalizzata; con la fatica di esserselo procurato… ecco, dicevo, hai in mano questo tesoretto e poi ti accorgi che non è rifinito bene: quasi un gioiello a cui manchi un po’ di lucidatura, che abbia ancora un po’ di tagliente sfrido ai lati, che non sia ben finito, insomma.

Così è per “Il Barolo come lo sento io” di Massimo Martinelli, in due lingue: “Barolo: the way i feel about it”. Giri la copertina e il primo errore ortografico è nel risvolto, alla prima riga; sfogli le prime pagine e ti accorgi che il testo è giustificato senza sillabazione, con effetto sgranato che si evidenzia nelle righe di testo, a pagina 15 ce n’è una nutrita serie; e poi appare evidente che l’autore non ha sempre chiara la regola di stile: parola, segno di interpunzione, spazio, parola… Sarà anche così, ma l’editing? Così appare altrettanto evidente che l’uso esatto della punteggiatura sfugge spesso, così l’autore crea molti anacoluti involontari, separando con una virgola soggetto e verbo. Ma anche qui: dove era l’editing?

Ma come è il libro? Interessante, pieno di notizie e storia. Da leggere. Però, peccato.

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